16 novembre 2006
Crisi della geotermia a Larderello: spostare gli impianti o le abitazioni?

Eppure, in Italia sopravvivono localizzazioni industriali d'epoca, pur ammodernate allo "stato dell'arte". Che facciamo, ne valutiamo l'impatto col metro di ieri o di oggi? sembra chiedersi Sennuccio Del Bene nella nota seguente. In pochi luoghi come a Larderello (Toscana), famosa per i suoi soffioni e il primo impianto geotermico al mondo (1913), gli impianti industriali sono talmente compenetrati nel tessuto urbano da rendere quasi impossibile la distinzione. Ma, insomma, Larderello è borgo abitativo o industria?
Ricordo lo stupore misto a scandalo, pochi anni fa, nel vedere arrivando in treno a Genova gli immensi depositi di carburante tra le case, a pochi metri dalla ferrovia. Certo, succede quando lo sviluppo industriale è stato precoce, ed è andato di pari passo con quello urbano. Larderello, addirittura, fu così denominato dal granduca Leopoldo nel 1846 perché il francese Larderel vi aveva aperto nel 1818 un impianto per la produzione del borace. Ma oggi, che fare? La convivenza ha prodotto "una realtà degradata non tollerabile più a lungo", dice Del Bene. E poi l’energia geotermica – sostengono ora degli esperti - è solo parzialmente rinnovabile, ed emette anche CO2. Insomma, se dobbiamo dar retta alle norme, abbattiamo la fabbrica o la città? (NV)
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La Toscana patisce oggi la crisi della geotermia. Crisi nel senso etimologico, di passaggio, trasformazione. Gli impianti esistenti, non solo a Larderello, ma in tutta l’area attorno a Piancastagnaio, Monterotondo, Sasso Pisano, Castelnuovo Valdicecina, Pomarance, Serrazzano e altri paesi, hanno imposto ai cittadini vere e proprie servitù funzionali, estetiche, psicologiche, ambientali.
Finora la tecnologia dell’estrazione e distribuzione dei vapori ha portato alla massima invasività sull’ambiente, senza alcun riguardo per il paesaggio, con impianti dal forte impatto architettonico, in totale spregio dei diritti delle comunità locali, e senza alcuna ricaduta economica o utilizzo ulteriore del vapore. Qui impianti e processi mostrano una evidente inadeguatezza alle normative vigenti di Valutazione Ambientale Strategica e Valutazione di Impatto Ambientale, mai applicate. Situazione che in Paesi del terzo mondo farebbe gridare allo "sfruttamento colonialista".
Senza una riorganizzazione razionale, tutti questi paesi hanno visto sorgere, gradualmente, senza una pianificazione globale, in maniera strisciante ma pervasiva, centrali e vapordotti che in un cinquantennio hanno stravolto il paesaggio e l’economia di territori che, rurali un tempo, oggi non possono più qualificarsi tali, sia per l’invadenza dei manufatti che per la perdita identitaria delle comunità. E oggi siamo anche alla decadenza sociale ed economica.

Le alternative più pulite e non invasive sul paesaggio ci sono, ma non sono realizzate: impianti sotterranei - centrali comprese - scambiatori di calore in profondità con fluido a ciclo chiuso, utilizzo di "terre calde secche", prive di vapore. Solo in apparenza – come al solito – sono soluzioni "costose", perché non si tiene mai conto del costo del disastro paesaggistico e ambientale. In realtà i costi aggiuntivi sono inferiori ai "costi esterni" del sistema attuale, che scarica oneri – senza calcolarli tra i costi di produzione per Kwh sulle comunità: danni alla salute, colture-allevamenti, turismo, sviluppo sostenibile, ambiente, qualità di vita. Lo capiranno gli amministratori locali e gli stessi imprenditori "illuminati"?